Da tempo considero il Premio Calvino una leale fucina di talenti letterari esordienti. Un’occasione per far sentire la propria voce e per scoprire nuovi talenti. Emanuela Canepa è uno di questi: bibliotecaria di Padova, a 50 anni ha vinto all’unanimità il Premio Calvino 2017 con un romanzo potente. E ci insegna che il talento non è un fattore anagrafico. Il libro racconta la storia di Rosita Mulé, una giovane ragazza che da un paesino vicino a Caserta approda a Padova per studiare medicina in fuga da una madre oppressiva. “Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere” . A prima vista la trama sembra simile a quella di molti altri romanzi fino a quando Rosita non incontra Ludovico Lepore, l’anziano avvocato che le offrirà un lavoro nel suo studio e che inizierà ad esercitare su di lei una manipolazione sottile e subdola dai contorni misogini ed inquietanti. Eppure Rosita riuscirà a tenergli testa e a trovare una nuova e più profonda libertà in un finale (forse non perfettamente riuscito) in cui si scoprirà che dietro ogni persona vi è una storia e i pensieri spesso ne riflettono gli angoli più nascosti. Il punto di forza del romanzo sono proprio i dialoghi tra i due protagonisti, spesso fastidiosi e duri, ma sempre ben calibrati. “Sa perché non sono ancora in pensione? – Scuoto la testa. – Perché mi diverto moltissimo. Le femmine sono animali interessanti. – Femmine. Il termine mi disturba come un’unghia che gratta sulla lavagna”.
L’animale femmina
Emanuela Canepa
Einaudi
2018
Pp.259
17,50€